Il latte fa davvero bene alle ossa?

Il latte fa davvero bene alle ossa?

latte versato

L’oro bianco, così viene definito dagli esperti, il latte

Bevuto fresco è una bevanda molto gustosa, alla quale diverse persone devono rinunciare per problemi  d’intolleranza: dolori addominali, flatulenza.
E’ davvero un alimento indispensabile per le ossa? Gli esseri umani sono gli unici mammiferi che continuano a bere latte tutta la vita. Recenti studi condotti presso l‘Università di Harvard, hanno sfatato un luogo comune: il latte non fa bene alle ossa, anzi il rischio di fratture è maggiore. Questo perché il latte contiene una sostanza detta retinolo che indebolisce le ossa. Per mantenere le ossa in salute, è necessario svolgere regolare attività fisica a qualsiasi età e mangiare verdure, soprattutto crude, variandole secondo la stagione.

Il latte che giunge nelle nostre case è quello che compriamo ai supermercati, che proviene da allevamenti intensivi di bovini da latte, alimentati da mangimi di mais. Questi mangimi possono essere contaminati da una tossina: aflatossina 1. La diffusione della tossina è favorita dall’aumento della temperatura ambientale. Sono sufficienti quantità minime, corrispondenti a 0,5 gr, cioè pari ad un chicco di mais per contaminare tonnellate di mangime, che dovrà essere necessariamente buttato. La domanda che sorge spontanea è la seguente: vengono realmente buttati i mangimi contaminati? Un altro inconveniente del latte di comune utilizzo in Italia è il colesterolo.
Le mucche da pascolo, che sono purtroppo una rarità alpina, determinano quello che viene definito il paradosso alpino, cioè producono un latte ricco di acidi grassi protettivi per il cuore, che sono grassi insaturi,con grandi quantità di acido linoleico ed omega 3, che manca nel latte dei bestiami intensivi. Il latte delle mucche da pascolo, inoltre, è più digeribile, grazie alla presenza della beta caseina A2. Tutto ciò spiega il progressivo aumento delle intolleranze al lattosio.

Allora perché non selezionare geneticamente bestiami favorevoli alla nostra salute, come già si fa nei Paesi del Nord Europa?
Nel Sud Italia, Provincia di Caserta dal latte vengono prodotti delle specialità casearie uniche: la perla bianca la mozzarella. Il consumo di formaggi, nonostante le indicazioni alla limitazione è abbastanza elevato, quindi avere un latte con queste caratteristiche rappresenterebbe una valida prevenzione per le malattie cardiovascolari.

Dr.ssa Anna Foglia MMG

Quarta edizione del Premio Nazionale Pabulum

Quarta edizione del Premio Nazionale Pabulum

dieta mediterranea

Ideatrici dell’iniziativa sono la Biologa Nutrizionista Katya Tarantino, presidente dell’Associazione Pabulum, Graziella Di Grezia, Medico Radiologo e la biologa Giulia Corrado. La Direzione Artistica del Premio è affidata al giovane talento Davide Cuorvo. Quest’anno il prestigioso ruolo di Presidente Onorario di Giuria è stato assegnato ad Antonio Limone, Direttore Generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno.

LA DIETA MEDITERRANEA. «La Dieta Mediterranea – afferma la biologa nutrizionista Katya Tarantino – è caratterizzata da un modello nutrizionale rimasto costante nel tempo e nello spazio, costituito principalmente da olio di oliva, cereali, frutta fresca o secca e verdure, una moderata quantità di pesce, latticini e carne, e molti condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vino o infusi, sempre in rispetto delle tradizioni di ogni comunità. Tuttavia, la Dieta Mediterranea è molto più che un semplice alimento. Essa promuove l’interazione sociale, poiché il pasto in comune è alla base dei costumi sociali e delle festività condivise da una data comunità e ha dato luogo a un notevole corpus di conoscenze, canzoni, massime, racconti e leggende».

L’iniziativa ha ricevuto il Patrocinio morale da parte del Consiglio Regionale della Campania, Museo Vivente della Dieta Mediterranea, UNPLI Campania, Distretti turistici Regione Campania, Ordine dei Tecnologi Alimentari Campania Lazio ed ha come partner Città del Gusto di Napoli/Gambero Rosso, Unione Regionale
Cuochi Campania, PMI International, Delta 3 Edizioni, UNCI Agroalimentare, AGROCEPI, Associazione Terre del Sud, Associazione Crescere in rosa, Associazione Salerno Attiva Activa Civitas, Associazione Logopea, Associazione Farma e Benessere, Associazione della Terza Età/Università Irpina del Tempo Libero di Avellino. Il concorso è gratuito e aperto a tutti.

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Gluten Free Game: il videogioco per i bimbi celiaci che educa divertendo

Gluten Free Game: il videogioco per i bimbi celiaci che educa divertendo

glutenfree

 

La celiachia colpisce l’1% della popolazione mondiale e – nel nostro Paese – il numero delle diagnosi aumenta del 10% ogni anno (nonostante si stimi che il 70% ancora sfugga). Cifre che – secondo l’Associazione Italiana Celiachia – portano a pensare che i celiaci in Italia al 2017 siano circa 220.000 (dei quali 2 su 3 sono donne). Tra questi, ovviamente, ci sono anche dei bambini (anzi, prima si riscontra la presenza della patologia e meglio è) e, se cambiare le abitudini alimentari è già traumatico per un adulto, per i giovanissimi le difficoltà aumentano. Festeggiamenti a scuola, merende con gli amici, compleanni tra compagni: i bambini celiaci dovranno imparare che non sempre possono mangiare le identiche cose dei loro coetanei. Un comportamento che, quando si è piccoli, può amplificare il senso di esclusione da un gruppo e di “diversità”, e far vivere le differenti pratiche quotidiane in campo alimentare come delle vere e proprie rinunce.

Per aiutare le famiglie nel compito di educare i proprio bimbi alla nuova condizione, l’Associazione Italiana Celiachia Regione Campania Onlus ha pensato di inventare… un videogioco! Il Gluten Free Game, scaricabile dal Play Store di Google per dispositivi Android (sia smartphone che tablet) come una qualsiasi app, facilita i bambini celiaci nell’apprendimento e riconoscimento degli alimenti privi di glutine, appunto “Gluten Free”. Lo scopo del gioco è quello di far raccogliere al proprio personaggio – una sorta di novello “Super Mario” della corretta alimentazione – i cibi consentiti per accumulare punteggio, ed evitare quelli pericolosi e quelli a rischio.

Un modo facile e divertente, che permetterà al bambino di imparare senza annoiarsi e anche di condividere il gioco con i suoi compagni, “educando” di riflesso anche loro perché le regole per “vincere” saranno quelle da applicare nelle vita di tutti i giorni per lui.

 

R.C.

La pizza a lenta lievitazione non aumenta la glicemia: la ricerca a Napoli

La pizza a lenta lievitazione non aumenta la glicemia: la ricerca a Napoli

pizza

Parte della letteratura medica internazionale ha accusato la pizza napoletana di essere “junk food”, ovvero “cibo spazzatura”, perché considerata capace di rendere ingestibile la glicemia per i pazienti affetti da diabete, a causa degli zuccheri contenuti nell’impasto. Un vero e proprio veleno soprattutto per i diabetici di tipo 1 (il cosiddetto diabete “giovanile”).
Ma Napoli non ci sta a veder considerato il suo patrimonio Unesco al pari dei peggiori fritti da fast food statunitense e, così, una pizzeria partenopea si è trasformata in un laboratorio di ricerca universitaria, dove trenta bimbi affetti da diabete a fare da volontari assaggiatori, medici, ricercatori, camerieri ed “infornatori” si sono uniti per difendere la pietanza più famosa del mondo lì dov’è nata.

Ad organizzare l’originale test è stato il Centro regionale di Diabetologia Pediatrica “G. Stoppoloni” della Azienda Ospedaliera Universitaria dell’Ateneo campano “Luigi Vanvitelli”, diretta dal professor Maurizio Di Mauro. Al folto staff medico, guidato dal dottor Dario Iafusco, si è affiancato il professor Ohad Cohen dell’Universtità di Tel Aviv, uno dei più grandi esperti di tecnologie applicate al diabete che ha seguito e controllato le varie fasi dell’esperimento. I maestri piazzaioli, per qualche giorno al soldo della scienza, hanno preparato le pizze per due gruppi di bambini (ad uno pizze con lievitazione lenta, all’altro quella veloce) stando attenti ad utilizzare, al grammo, la stessa quantità di ingredienti per ogni Margherita.

«Abbiamo controllato i livelli di glicemia per l’intera notte successiva – ha spiegato Iafusco – e abbiamo verificato che i bambini che hanno mangiato la pizza a lenta lievitazione hanno avuto un andamento glicemico stabile mentre per chi ha mangiato pizza con lievitazione veloce si è registrata una variabilità glicemica molta elevata». I dati emersi dal test hanno reso felici i medici che hanno avuto la conferma sul campo della loro teoria ma i più contenti di tutti, come appare ovvio, sono stati sicuramente i bambini.

Obesità infantile e rischio malattie croniche: il CNR partner del progetto I.Family

Obesità infantile e rischio malattie croniche: il CNR partner del progetto I.Family

bilancia

 

Uno studio condotto sulle urine di duemila bambini irpini ha rilevato le differenze sulla presenza di alcune sostanze: il lavoro è stato coordinato dalla ricercatrice dell’ISA-CNR di Avellino, dr.ssa Rosaria Cozzolino.

Dr.ssa Cozzolino cosa è il progetto I.Family? Come vi ha partecipato il Cnr? Qual è stato il suo compito?
Il progetto I.Family, finanziato dalla CE, ha coinvolto 15 gruppi di ricerca appartenenti a 11 paesi europei. L’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del CNR di Avellino (ISA-CNR) è stato partner del progetto per quanto riguarda l’Italia. Il principale obiettivo del progetto I.Family è stato quello di usare un approccio olistico considerando i fattori biologici, comportamentali, sociali e ambientali che sono alla base di scelte alimentari e stili di vita salutari durante la fase pre-adolescenziale, transizione tra l’infanzia e l’età adulta.

La coorte italiana, a quale tipo di bambini fa riferimento? Quanti sono stati oggetto di studio? Dove? Che caratteristiche hanno?
La coorte italiana del progetto I.Family ha compreso circa 2.000 bambini irpini in età scolare e i loro genitori. Le scuole partecipanti allo studio erano situate in 8 comuni della provincia di Avellino.

Cosa sono i VOCS?
Nello studio dal titolo “Urinary volatile organic compounds in overweight compared to normalweight children: results from the Italian I.Family cohort”, pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature, sono stati studiati i composti organici volatili (VOCs) estratti da urine. Tali composti sono un insieme molto eterogeneo di sostanze chimiche (aldeidi, chetoni, terpeni, acidi carbossilici, terpeni, alcoli, etc) che ha in comune una bassa temperatura di ebollizione.

Cosa si intende per biomarcatori metabolici?
Un biomarcatore metabolico è una molecola utilizzata quale indicatore di una specifica condizione biologica (fisiologica o patologica) in svariati ambiti interdisciplinari, nei quali può assumere anche un significato leggermente differente.

Qual è la portata dello studio condotto? A cosa serviranno i dati raccolti? Quali scenari apre?
Lo studio da me coordinato mostra che il profilo dei VOCs delle urine dei bambini obesi/sovrappeso differisce da quello dei bambini normopeso per una diversa concentrazione di alcune sostanze volatili. Tale differenza può essere spiegata con una ormai ben nota disbiosi (alterazione della microflora, prevalentemente batterica, che alberga nell’intestino umano) a carico dei soggetti obesi/sovrappeso che, rispetto ai bambini normopeso, ospitano a livello intestinale alcune specie batteriche in quantità maggiore o minore. Inoltre, l’alterazione della concentrazione di alcuni VOCs è in accordo con ciò che si riscontra in studi condotti sull’analisi di sostanze volatili in bambini affetti da alterata funzione epatica, indicando che i VOCs possono essere anche considerati potenziali biomarcatori di disordini epatici e metabolici.

È ben noto che l’obesità durante l’infanzia può essere associata ad un aumentato rischio di sviluppare malattie croniche nell’età adulta, quali il diabete di tipo 2, l’ipertensione, le malattie cardiovascolari ed alcuni tipi di tumore. Ad oggi, però, i meccanismi metabolici riguardanti la probabilità che un bambino sovrappeso ha di sviluppare tali patologie sono del tutto sconosciuti. I risultati di questo studio pilota (sono stati coinvolti circa 50 bambini) devono essere confermati aumentando il numero dei soggetti e coinvolgendo altre popolazioni. In ogni caso, visto che i modelli statistici ottenuti sono molto robusti è possibile che un giorno non molto lontano analizzando semplicemente le urine di un bambino obeso/sovrappeso si possa stabilire l’entità del rischio che ha da adulto di incorrere nelle succitate gravi malattie connesse con l’obesità.

 

di Marina D’Apice

Progetto Nutriketo: il primo corso in Italia

Progetto Nutriketo: il primo corso in Italia

alimenti

 

Diete e terapie nutrizionali chetogeniche: integratori e nutraceutici” è il tema della II seconda edizione del Corso di Aggiornamento e Perfezionamento Professionale, denominato Nutriketo, promosso dal Dipartimento di Farmacia dell’Università degli Studi di Salerno in partnership con l’A. O. “San Giuseppe Moscati” di Avellino.
Il corso alla prima edizione ha fatto registrare circa 100 partecipanti, per il nuovo anno accademico le previsioni superano le 200 domande di richiesta di partecipazione.

La dieta chetogenetica è una dieta ipoglucidica (o low-carb) che si basa sulla riduzione drastica dei carboidrati. Lo scopo è sfruttare il metabolismo lipidico al fine di incrementare il rilascio degli acidi grassi liberi (FFA) dalle cellule adipose, i quali verranno poi bruciati nel fegato portando alla formazione di corpi chetonici Ae all’instaurarsi della chetosi. I chetoni sono principalmente tre: Acetoacetato (AcAc), Betaidrossibutirato (BHB) e Acetone.

“Abbiamo vinto una battaglia portando la valenza della dieta chetogenica all’attenzione del mondo scientifico anche in Italia, superando le banalizzazioni e dimostrandone gli effetti sul metabolismo nel contrasto a numerose patologie”. Parla il Prof. Giuseppe Castaldo, già direttore dell’Unità Operativa di Dietologia e Nutrizione Clinica dell’AORN Moscati, oggi responsabile scientifico Unisa-AORN Moscati e co-direttore del Corso insieme al Professore Luca Rastrelli Docente dell’Unisa. “Approfondire tematiche riguardanti le diete e la dietetica in generale, le terapie nutrizionali chetogeniche, e la conoscenza e l’utilizzo di integratori e nutraceutici in numerose patologie” dice Rastrelli, titolare della Cattedra di Chimica ed Alimenti Integratori e Dietetici dell’ateneo salernitano.

Il Corso annuale di Perfezionamento Universitario, il cui avvio è previsto il 23 marzo presso il Grand Hotel Salerno, è finalizzato alla formazione di figure professionali altamente specializzate quali “Esperti in Nutrizione Chetogenica, Integratori, prodotti dietetici e Nutraceutica” in grado di affrontare e gestire le varie problematiche multidisciplinari connesse alle diete chetogeniche, applicate sempre più frequentemente in patologie metaboliche, infiammatorie e cronico-degenerative connesse alla nutrizione, di operare negli ambiti degli ambulatori specialistici, delle industrie degli integratori alimentari e nutraceutici, nell’ambito dell’informazione scientifica, nei laboratori di ricerca.

La partnership con l’AORN Moscati di Avellino ha inoltre portato alla stipula di un accordo di collaborazione scientifica con il Dipartimento di Farmacia dell’Unisa per l’istituzione di un Laboratorio di Ricerca Nutrizionale “Nutriketo Lab” dove saranno sviluppate le attività pratiche del Corso Nutriketo a attività di ricerca, sviluppo e trasferimento tecnologico nei campi dell’alimentazione, dietetica e salute, delle proprietà funzionali di alimenti ed integratori alimentari.
Direttore del Laboratorio, operativo già da marzo presso il nosocomio avellinese, è il Direttore Sanitario dall’AORN Moscati dr.ssa Maria Concetta Conte, supportata dal Comitato Tecnico Scientifico costituito dalla prof.ssa Rita Patrizia Aquino (DIFARMA), e dai Direttori e Vice-Direttore del Corso Universitario NUTRIKETO, prof. Luca Rastrelli (DIFARMA) e prof. Giuseppe Castaldo (AORN Moscati) a cui è affidata la Responsabilità Scientifica. Le attività del laboratorio dovranno portare alla realizzazione di prodotti altamente innovativi attraverso lo studio su pazienti con precise caratteristiche.

GiuseppeCastaldo

Prof. Giuseppe Castaldo

LucaRastrelli

Prof. Luca Rastrelli

 

Il cibo speciale per i malati ora è detraibile

Il cibo speciale per i malati ora è detraibile

Gli alimenti destinati alla nutrizione dei malati sono equiparabili a dei farmaci non solo per le conseguenze che hanno sulla salute, ma anche per il Fisco che dal 2018 prevede che la spesa per l’acquisto possa essere detratta. Si potrà recuperare il 19%  a fronte di una spesa annua uguale o superiore a 129,11 euro.
È il regolamento europeo 609 del 2013 a definire a definire gli alimenti a fini medici speciali: “prodotti alimentari espressamente elaborati e destinati alla gestione dietetica di pazienti, compresi lattanti” e accompagnati dalla prescrizione del medico.
L’elenco, consultabile sul sito del Ministero della Salute, comprende soluzioni a base di glucosio e sali minerali, versioni alternative di paste e prodotti da forno, alimenti privi di proteine, creme per chi ha problemi di deglutizione
. Dell’elenco non fanno parte alcuni integratori alimentari, cosmetici, prodotti per lattanti o  fitoterapici, le pomate e i colliri benchè prescritti dal medico. Destinatari degli alimenti a fini medici speciali sono soprattutto i malati oncologici sottoposti a specifica terapia nutrizionale a causa di chemio e radio, poi gli anziani che devono fronteggiare la perdita di massa muscolare e ancora pazienti affetti da: insufficienza renale, diabete, morbo di Crohn, anoressia nervosa.

La buona notizia è che la detrazione fiscale del 19% è retroattiva: nella dichiarazione da presentare valevole per il 2017 a chi non è più in possesso dello scontrino parlante basterà allegare la prescrizione del proprio medico.

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