Slow Food

Slow Food

Slow Food

Via Mendicità Istruita, 14
Bra (Cuneo)
Tel. 0172 419611 dalle 9 alle 15.30
Fax 0172 421293

Aperto dal lunedì al giovedì dalle 9 alle 15.30 e il venerdì dalle 9 alle 15

Per info scrivere a
[email protected]

Il fagiolo di Volturara Irpina

Il fagiolo di Volturara Irpina

Fagioli volturara

Il fagiolo di Volturara irpina è prodotto nei fertili terreni dell’altopiano dell’avellinese e si distingue per il suo essere particolarmente tenero e farinoso. Presenta una buccia molto sottile e un caratteristico colore bianco cenere.
Di dimensioni piccole e irregolari, viene seminato nel mese di maggio per poi essere raccolto tra fine agosto e l’inizio di settembre. Una volta raccolti, i baccelli, che raggiungono le dimensioni di circa 15 cm e contengono approssimativamente dieci fagioli, vengono battuti con un bastone o con il “muillo”, uno strumento composto da un bastone lungo e robusto cui è collegato, tramite legacci resistenti, un bastone più corto.
Dopo la battitura si procede con un’accurata cernita eseguita con il tradizionale “chiurnicchio”, un setaccio rotondo che lascia cadere i residui pesanti. Il passaggio successivo consiste nel lanciare in aria i fagioli dal setaccio. In questo modo, attraverso l’azione del vento, si riesce ad eliminare anche i residui più leggeri. Infine, i fagioli vengono lasciati ad asciugarsi al sole per altri tre giorni.
Il fagiolo di Volturara, riconosciuto come presidio Slow food, può vantare inoltre una coltivazione totalmente manuale, senza l’utilizzo di fertilizzanti o diserbanti chimici.

Ma quali sono le ricette che mettono in risalto la morbidezza e il sapore intenso di questo legume irpino?

Fagioli volturara

Solitamente il fagiolo di Volturara è il protagonista di piatti tipici locali come la pasta e fagioli, la zuppa di fagioli con le freselle e la zuppa di fagioli e patate. Un altro piatto della tradizione abbina il fagiolo a un altro simbolo dell’Irpinia, le castagne: i fagioli vengono fatti cuocere insieme alle cotiche di maiale e le castagne secche in acqua, sale e alloro. I fagioli, vengono poi fatti soffriggere in aglio, olio e sugna, prima che vengano aggiunte le castagne. Il tutto vene servito caldo sul pane raffermo.

Il cece di Cicerale vive ancora. La storia di Giovanna Voria

Il cece di Cicerale vive ancora. La storia di Giovanna Voria

Cecicorbella

Giovanna Voria nasce figlia di contadini. E chi appartiene alla terra prima o poi ne sente il richiamo…
Infatti, sposata giovanissima, avvia con il marito un’attività di marmi, ma dopo 25 anni in cui ormai gestiva sia l’ufficio che il laboratorio, quella vita inizia a starle stretta: si sente come l’ingranaggio di una macchina e prendersi cura dell’uliveto, del vigneto e degli animali di famiglia nel fine-settimana, non le basta più. La terra chiama, lei risponde.
Molla tutto e nel 2001 avvia quello che diventerà l’Agriturismo Corbella, in una zona “fuori dal mondo”: all’epoca non c’è acqua, né luce, niente telefono e nessuna strada per raggiungerlo se non un pezzo di sterrata. Per dare inizio alle attività Giovanna si arrangia con un gruppo di continuità, l’energia elettrica arriva un anno dopo.

Non è facile, per lei. In un posto così precario in termini di servizi, è facile sentirsi abbandonata. Ma le tornano in mente le donne di famiglia, con i loro preziosi insegnamenti contadini e la grande forza di volontà. Nonna Giovanna, nonna Antonia e mamma Angelina le sono di ispirazione e a Giovanna viene l’idea: recuperare il cece di Cicerale, un legume talmente tipico che dà il nome al paese, sul cui stemma comunale compare una pianta di ceci con la scritta “Terra Quae Ciceralit” (terra che nutre i ceci). Un prodotto che, con la forte emigrazione post-bellica, era sparito completamente.

Dopo neanche un mese di attività è la BBC, la famosa emittente televisiva britannica, che va ad intervistare Giovanna facendole capire che tra le mani ha un tesoro, e le consiglia si scrivere un libro (“Cucinare con i ceci”). Inizia così un periodo ricco di sfide che altro non fanno che rafforzare l’orgoglio di appartenere alla terra cilentana. Nel suo agriturismo inizia a proporre piatti a base di legumi, cereali, ortive, erbe spontanee, aromi mediterranei, fico bianco del Cilento: tutti prodotti della sua zona.
Chi la deride per questo suo “ritorno al passato” deve ricredersi presto: grazie agli studi di Ancel Keys e Jeremiah Stamler, che ne provano i benefici sul sistema cardiovascolare, la Dieta Mediterranea diventa nel 2010 Patrimonio Immateriale dell’Unesco e lei che – seguendo le orme delle tradizioni della sua famiglia – se n’è fatta promotrice, capisce di aver intrapreso la strada giusta.

Nel 2012, dopo tante lotte, il cece di Cicerale diventa Presidio Slow Food e per Giovanna iniziano le soddisfazioni, soprattutto al di fuori dei confini regionali e nazionali, fino a volare anche oltreoceano. Nel 2017 il Museo della Dieta Mediterranea la nomina “Ambasciatrice della Dieta Mediterranea nel Mondo”, nello stesso anno arrivano il Premio Cicas e il premio Fidapa e ambasciatrice del Cilento, mentre l’anno dopo la Voria è Ambasciatrice del Carciofo Bianco di Auletta. Oggi Giovanna si occupa con passione del suo agriturismo ma organizza eventi e laboratori per grandi e piccoli in cui racconta la Dieta Mediterranea e cucina deliziosi manicaretti a base di prodotti locali.

«Io mi reputo una chef contadina – dice senza trattenere l’emozione di chi sa quanta fatica è costata arrivare fino a qui – Ho bisogno della terra, della stagionalità a km zero e delle eccellenze dei luoghi. Cucino ciò che trovo nel mio orto, per questo non ho un menu fisso alla carta nel mio agriturismo. Dopo il cece di Cicerale, ho recuperato il cece nero di Corbella, il cece rosso e l’antico fagiolino di maggese. Abbiamo però bisogno di giovani che si innamorino dei prodotti del loro territorio e possano portare avanti ciò che stiamo facendo. Io, personalmente, per la mia terra ho rifiutato offerte all’estero molto interessanti, perché credo che se tutti scappiamo via cosa rimarrà della nostra storia, dei nostri avi e delle lotte che hanno fatto? Io lo dico sempre: sò nata a lo Ciliento e me ne vanto».

giovannavoria

 

 

Wine Business: il nuovo corso dell’Università di Salerno per le professioni del mondo del vino

Wine Business: il nuovo corso dell’Università di Salerno per le professioni del mondo del vino

winebusiness-art

Dopo il grande successo delle precedenti sei edizioni, l’Università degli Studi di Salerno, Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche, promuove la settima edizione del Corso di Perfezionamento Universitario in Wine Business.

Diretto dal Prof. Giuseppe Festa, il Corso in Wine Business si propone di formare figure professionali esperte in economia, amministrazione, management, marketing e comunicazione delle iniziative imprenditoriali nel comparto vitivinicolo. Destinatari dell’iniziativa sono operatori attualmente impegnati nel comparto (ai fini di un miglioramento della propria qualificazione professionale) o potenzialmente interessati a lavorare nel mondo del vino ai fini della gestione dell’impresa vitivinicola e dei progetti wine-based (consulenza amministrativa fiscale e direzionale, formazione, eventi, ecc.), così come docenti presso le Scuole Secondarie Superiori professionalmente interessati alle materie economico-aziendali afferenti al comparto vitivinicolo.

Per la settima edizione il Corso conferma l’accesso a laureati (che conseguiranno il titolo di Corso di Perfezionamento Universitario) e diplomati (che conseguiranno il titolo di Corso di Aggiornamento Culturale), purché in possesso di adeguata esperienza nel mondo del vino. Sono inoltre previste tre borse di studio a rimborso delle quota d’iscrizione messe a disposizione dall’Amministrazione Provinciale di Avellino.

Il Corso si svolgerà in collaborazione con numerosi e importanti partner: Osservatorio dell’Appennino Meridionale (Consorzio tra Regione Campania e Università degli Studi di Salerno), Amministrazione Provinciale di Avellino, Fisar – Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori – Coordinamento Sud, Fondazione Italiana Sommelier – Campania, ONAV – Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino – Italia, SES – Scuola Europea Sommelier – Italia, Associazione Nazionale “Città del Vino”, Consorzio Tutela Vini d’Irpinia, Sannio Consorzio Tutela Vini, Consorzio Tutela Vini Campi Flegrei Ischia e Capri, Consorzio Tutela Vesuvio, Consorzio Vita Salernum Vites, Movimento Turismo del Vino – Campania, AssoEnologi – Campania, Federazione Regionale degli Ordini dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali della Campania, Ordine dei Tecnologi Alimentari di Campania e Lazio, Vitigno Italia, Slow Food Condotta Salerno, Associazione Universitaria UniSapori, Miriade & Partners, Consorzio Ismess e numerosi altri enti istituzionali del mondo del vino a livello nazionale e internazionale, tra cui l’EuroMed Research Business Institute con il “Wine Business Research Interest Committee” (coordinato dal Prof. Giuseppe Festa).

Il Corso avrà una durata complessiva di cento ore e si svilupperà in venti lezioni, ciascuna della durata di cinque ore, presso l’Università degli Studi di Salerno o, per particolari esigenze didattiche, anche in ambienti esterni all’Università, anche in occasione di visite aziendali. Ogni lezione vedrà la partecipazione di un docente, di un’azienda vitivinicola chiamata a illustrare la propria storia imprenditoriale e di un sommelier/degustatore/assaggiatore. Anche nella settima edizione del corso ci sarà l’analisi, svolta in ogni lezione a cura della Condotta Slow Food Salerno, delle principali caratteristiche delle più importanti e più diffuse cucine/gastronomie del mondo, allo scopo di agevolare l’abbinamento cibo-vino e di conseguenza facilitare i percorsi d’internazionalizzazione delle vendite dei vini italiani. Tutte le informazioni sul corso sono reperibili all’indirizzo www.winebusiness.unisa.it (il termine di scadenza per le iscrizioni è il prossimo 25 Maggio).

 

Mangiare è un atto politico

Mangiare è un atto politico

È errato ritenere che il benessere psicofisico (la nostra salute) sia assicurato da alimentazione sana e cibo genuino, senza tener conto dell’età, dello stile di vita, dell’ambiente, della predisposizione genetica e tanti altri fattori.

Il cibo infatti condiziona la nostra salute, oltre che come nutrimento, anche per le conseguenze della massiva produzione industriale, del trasporto, della distribuzione e conservazione. È accertato che gli allevamenti intensivi sono fonte d’inquinamento dell’atmosfera e dell’acqua, i mangimi contengono sostanze dannose, l’utilizzo di antibiotici indebolisce le nostre difese immunitarie, i conservanti e gli additivi, indispensabili nell’industria alimentare, causano intolleranze. Inoltre, il trasporto degli alimenti per il consumo a grande distanza genera inquinamento ambientale e gli imballaggi, insieme agli sprechi cui c’induce il consumismo, aggravano la problematica dei rifiuti.

Un vero e duraturo miglioramento della salute umana si otterrà solo con interventi radicali su ambiente, sfruttamento delle risorse naturali, benessere animale, biodiversità, razionalizzazione dei consumi, possibili se sarà presa coscienza, da parte di tutti, che la nostra salute dipende da quella dell’ecosistema in cui viviamo e da come ci comportiamo.

In questa direzione, è fondamentale il ruolo dell’informazione e del volontariato. Sono numerosi gli enti, le istituzioni e le associazioni che operano su scala locale, nazionale e mondiale per difendere i consumatori e formare imprenditori, giovani, amministratori a tenere nella debita considerazione la qualità del cibo e l’idoneità dei metodi di produzione e distribuzione. Anche il papato di Francesco sta riservando particolare attenzione ai temi dell’alimentazione, della salute e dell’ambiente, fornendo un contributo prezioso.

Nel settore del volontariato si distingue Slow Food, un’associazione internazionale nata in Italia più di trent’anni fa, impegnata a dare il giusto valore al cibo e restituirgli le funzioni di procurare piacere e migliorare le condizioni di vita, nel rispetto di chi produce in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi custoditi nei territori e nelle tradizioni. La sua importanza risiede nell’approccio olistico e nella visione globale con cui svolge la propria attività. Ogni giorno Slow Food lavora con una fitta rete di soci e sostenitori, operando affinché il cibo non sia solo merce e fonte di profitto e promuovendo il diritto al piacere attraverso l’incontro, il dialogo e la gioia di stare insieme.

Fra le associazioni che s’interessano di salute, sicurezza alimentare e salvaguardia dell’ambiente, Slow Food è l’unica che comprende sia consumatori che imprenditori. Tra i soci avviene un continuo scambio di dati attendibili e verificati, attraverso esperienze presso produttori e ristoratori, degustazioni ed eventi conviviali, corsi teorico/pratici su cibi, cucina, spesa, sicurezza alimentare. In tal modo i consumatori affinano esperienza e capacità di giudizio in maniera obiettiva, documentata, pratica e diretta e gli imprenditori trovano mercato per i loro prodotti di qualità.

Mangiare è molto più che alimentarsi e dietro il cibo ci sono produttori, territori, emozioni, piacere, salute ed economia; si può definire un atto politico, perché influisce in maniera determinante sulla salute, la ricchezza e la felicità dei popoli.

Lucio Napodano – Consigliere Nazionale Slow Food

A Somma Vesuviana, il racconto del mondo rurale

A Somma Vesuviana, il racconto del mondo rurale

Attrezzi agricoli, cerealicoltura e viticultura: la collezione iniziata da Carlo Russo.
L’area tematica iniziale è dedicata al vino e alla vite, fiore all’occhiello dell’esposizione è arricchito con pannelli didascalici; si parte dalla coltivazione della pianta, si passa poi alla raccolta, pigiatura per terminare all’imbottigliamento.
In esposizione gli attrezzi utilizzati dai contadini come ad esempio l’aratro e lo scavapatate, attrezzi trainati dall’animale e guidati dal contadino, gli allestimenti dei cavalli ed il giogo della mucca. Una sezione del museo è dedicata agli antichi mestieri: l’intrecciatura dei cesti attività molto complessa, il cestaio, il riparatore di piatti (‘o conciapiatte) che operava due fori con il trapano a corde nei due lati dei frammenti spaccati legandoli con una grappa di fil di ferro, la fuscellaia, l’arrotino (‘o malaforbici), la lavandaia che usava il sapone di grasso di maiale ottimo per le macchie e tanti altri.

L’allestimento sulla cerealicoltura permette di comprendere bene le varie fasi di lavorazione delle pannocchie, le differenze tra i cereali (grano, mais, frumento etc), i vari utensili adoperati come ‘o vavill che permetteva di battere le spighe e far uscire il grano messo poi nel setaccio per la pulitura e la separazione dalla pula. Ancora la produzione del pane, con i setacci e i contenitori lignei per la conservazione della matassa, e tutto ciò che afferiva alla vita contadina del secolo scorso: uno scaldavivande da campagna con i carboni, i ferri da stiro, un macinino per pepe ed orzo, una zucca essiccata che veniva usata come borraccia, il braciere ‘asciutta panni’ (asciuga panni) che al calar della sera a braci tiepide consentiva di asciugare il bucato. In esposizione anche vecchi giocattoli, bamboline fatte con foglie di pannocchie o vecchi stracci; tra gli strumenti musicali, la tammorra in legno e pelle di capra che accompagna la tammurriata, il violino dei poveri (in napoletano lo scetavaiasse), lo schiaffo, il triccheballacche ed altri.
La struttura ha anche un orto didattico con piante officinali, aromatiche, medicamentose. Il museo organizza numerosissime attività didattiche dedicate alle scuole e ai più piccoli di manipolazione, dalla pasta fresca alla marmellata e tutto ciò che racconti dell’attività contadina.
Di recente l’offerta si è arricchita anche con l’apertura di un’osteria all’interno dell’area museale che offre prodotti del Presidio Slow Food.

Biglietto: 3,50 euro
Dal lunedì al sabato dalle 9:00 alle 13:00.
Disponibili anche in orari diversi su prenotazione.
Telefono: 081.5318496
www.ecampania.it

Orto in Campania

Orto in Campania

orto-incampania

Sette anni fa il Centro Commerciale Campania ha deciso di riscrivere le modalità di della raccolta differenziata dei suoi 180 negozi e di costruire un orto didattico quale simbolo del ciclo virtuoso dei rifiuti.

In pochi mesi la quota di differenziazione ha raggiunto il 99% e le piante dell’orto hanno beneficiato del ricco compost ottenuto dalla frazione organica dei 25 ristoranti e bar della struttura. Dal 2010 a oggi il Centro Campania si è impegnato per raggiungere un obiettivo: rifiuti zero.
L’Orto didattico, realizzato grazie alla collaborazione con l’associazione Slow Food e una commissione mista di professori, dottorandi e studenti delle facoltà di agronomia, pedagogia e architettura dell’Università Federico II, entra dunque nel suo quinto anno di attività, offrendo un’intensa attività didattica per le scuole del territorio grazie ai suoi 20 docenti (studenti o neo laureati in materie pedagogico-umanistiche e scientifico-biologiche).
In questi anni, oltre ad accogliere più di 10.000 studenti di 20 istituti scolastici, il progetto ha organizzato corsi di formazione interni dedicati ai docenti de L’Orto in Campania sui temi della didattica induttiva, della divulgazione scientifica, dei temi della sostenibilità e dell’economia della produzione del cibo e delle tecniche museologiche applicate a uno spazio cognitivamente intenso come un orto.
In occasione dei corsi di formazione o nell’ottica di scambio delle conoscenze acquisite, l’orto didattico del Centro Campania ha organizzato incontri con Alice Waters, Yale Soustainable Food Project, Museo della Scienza di Trento, la divulgatrice scientifica Beatrice Mautino, la filosofa della biologia Elena Gagliasso, l’ordinario di agronomia della Federico II Massimo Fagnano e ha partecipato con i suoi laboratori al festival Internazionale a Ferrara, al Salone del Gusto di Torino, all’evento dedicato alla biodiversità campana organizzato da Slow Food: Leguminosa. Muse museo scienza di trento.
I laboratori sono gratuiti e, nel raggio di 30 km dal Centro Campania, il trasporto è a carico del Centro.

Pin It on Pinterest